In un momento così difficile, segnato dapprima dalla pandemia ed ora da una guerra drammatica, le scene oniriche raccontano di noi, della nostra mente inconscia attraverso l’utilizzo di elementi trafugati dalla realtà – dalla pandemia e dalla sanguinosa guerra in Ucraina, appunto – per rappresentare i nostri conflitti irrisolti, le paure, le angosce e i traumi che pressano per una loro risoluzione.
Una logica, quella della mente inconscia, fondata sulla riduzione e cancellazione delle differenze, sull’assenza di tempo e di contraddizioni, sulla sostanziale sostituzione della realtà esterna con la realtà interna del soggetto.
Una sceneggiatura dove tutto parla della persona, ogni elemento può essere ricondotto all’interno dei vissuti, delle emozioni, delle relazioni, della storia di colui che sogna.
All’interno di questa logica, il sogno, apparentemente senza un senso compiuto, può diventare comprensibile e svelare al soggetto verità fino a quel momento sconosciute.
Il sogno è ambientato in Ucraina, in una non meglio identificata zona militare, un aeroporto. M. racconta di arrivare in una specie di aeroporto con una moto, una di quelle moto di fabbricazione italiana di qualche anno fa – forse una Gilera. Parcheggia davanti a uno dei tanti hangar presenti e si dirige verso l’ingresso. E’ un hangar dedicato alle vaccinazioni mentre negli altri si effettuano riparazioni.
Da lontano, in modo del tutto imprevisto, vede arrivare il padre; lo riconosce dall’abbigliamento: la consueta tipologia di cravatta, il pullover di lana con i bottoni, i pantaloni di colore grigio della polizia.
Il padre ha un foglio in mano e subito gli chiede dove ha lasciato la moto. M. vuole mostrare al padre dove ha lasciato la moto e quindi esce con lui dall’hangar dei vaccini ma non trovano più la moto. Chiedono ad un militare di passaggio che gli risponde che la moto è stata portata via perché non poteva rimanere lì.
Insieme, iniziano a cercarla e, finalmente, la trovano. Il padre sale in moto e lui da dietro la spinge fino a portarla fuori dall’hangar in cui l’aveva ritrovata.
Per M. la moto è sinonimo di libertà ma anche di flessibilità, agilità, funzionalità e di incremento di produttività. Un mezzo di trasporto incredibilmente efficace in una città caotica e trafficata come Roma. Ma M. non l’ha mai avuta una moto nella realtà! Tante volte però ha sognato di averne una, di guidarla con impareggiabile maestria. Racconta di uno di questi sogni e di come. al risveglio, fosse talmente forte e veritiera la sensazione di possederne una che è andato nel box di casa a controllare!
Certo che non c’era; gli è mancato il coraggio di acquistarne una. Eppure, continua, ci sono state situazioni in cui si è sentito coraggioso; prima di decidere di fare Ufficiale di complemento nell’esercito, per esempio, è stato sul punto di entrare nei paracadutisti.
Parlare della presenza e dell’assenza di coraggio rievoca in M. il ricordo di un altro sogno che lo vede alla guida di un aereo di linea. Esegue un atterraggio perfetto e, subito dopo, si dirige spedito al ristorante dedicato ai piloti e alle hostess. Qui tutti lo aspettano per iniziare il pranzo e lo accolgono con un entusiasmo straripante.
La realtà onirica ribalta la realtà diurna; fa emergere, sottolineando i valori della libertà ritrovata, della competenza e delle capacità, dell’autostima e il ritrovato rapporto emotivo-affettivo con il padre, proprio l’esatto contrario: la loro assenza. Assenza che sembra collegarsi allo sfondo su cui si proiettano le scene del sogno: il conflitto e la necessità di immunizzarsi contro un nemico invisibile.
Questa assenza, però, è anche una opportunità nel momento in cui diventa qualcosa di pensabile, di visibile. Diventa una nuova storia, una narrazione diversa dalle precedenti perché intrisa di nuove acquisizioni e consapevolezza. Tutti elementi, questi, da poter utilizzare per rimodulare il progetto di crescita e sviluppo.